Recensione & Intervista: "Cavie" di Liliana Marchesi

Recensione & Intervista: "Cavie" di Liliana Marchesi
Buon mercoledì, Petrichors!
Torno a parlarvi di romanzi che ho scoperto al Salone del libro di Torino e che sono stati finalmente pubblicati. È il caso di “Cavie” di Liliana Marchesi, un distopico pieno di azione che vi farà mettere in discussione la realtà che ci circonda.
Inoltre, insieme alla recensione, vi riporto parte dell’intervista, o meglio della bellissima chiacchierata ad alto contenuto distopico, che ho fatto con Liliana proprio a Torino mesi fa.

Titolo: Cavie
Autore: Liliana Marchesi
Lingua: Italiano
Genere: Sci-fi, Distopia
Casa Editrice: 
La Corte Editore
Goodreads – Amazon

Ti svegli e ti ritrovi dentro una bara di vetro. Non sai come né perché sei lì. Devi solo sopravvivere. L’esperimento è appena iniziato.

Cora si risveglia all’interno di una teca di cristallo. Non sa dove si trova, come sia finita lì dentro, e soprattutto non ne capisce il perché.

Ma non è sola.

Con lei ad affrontare lo stesso incubo c’è Kurtis, un ex soldato che sembra essersi risvegliato poco prima e che, come lei, sembra non ricordare nulla. Hanno tutti e due degli strani tatuaggi sul braccio e ben presto capiranno di essere finiti in un labirinto di prove al limite della sopravvivenza, e che avranno bisogno l’uno dell’altra per superarle.

E mentre poco alla volta i ricordi iniziano a riaffiorare, e scomode verità a emergere, dovranno dare fondo a tutte le loro abilità e a ogni goccia del loro coraggio per poter sopravvivere al folle esperimento in cui sono stati catapultati. E scoprire quali segreti si celino dietro quello che viene chiamato “Progetto Pentagono”.

 

RECENSIONE

“All’inizio non vedo nulla. Ma dopo qualche istante i miei occhi debilitati mettono a fuoco dei segni.
Sono delle linee leggere, bluastre. E anche se in un primo momento non sembrano voler significare nulla, più le guardo e più la mia mente ne definisce la reale forma.
Lettere e numeri.
E una data.
E17C1983″

TRAMA & PERSONAGGI

Immaginate di risvegliarvi all’interno di una teca di cristallo, una vera e propria bara di vetro. Non ricordate nulla, neanche come vi chiamate, il motivo per cui vi trovate in quella spiacevole situazione o come siete finiti lì. Tabula rasa dal primo all’ultimo ricordo. Sono due braccia a salvarvi e a farvi nascere di nuovo. Ma i ricordi, si sa, sono difficili da scacciare e pian piano tornano prepotenti come un fiume in piena sul punto di straripare.
Ed è così che conosciamo Cora e Kurtis. Entrambi non ricordano nulla di ciò che è accaduto loro, ma vogliono andare fino in fondo alla storia. L’indizio da cui partire per scoprire il mistero sta proprio sotto la loro pelle: un tatuaggio che apre loro le porte del bunker isolato in cui si trovano. Ma la verità è sempre più dolorosa di quanto immaginiamo e il “Progetto Pentagono” ha in serbo per loro numerose sfide, tutte mortali.

“Cavie” di Liliana Marchesi è un distopico diverso da quello che ci potrebbe subito venire in mente. Il sistema da combattere non è all’apparenza un terribile governo o un potente dittatore. Anche quando finalmente un vero cattivo prende forma viene quasi scalzato dall’ignoto e dalla lotta per la sopravvivenza dei due protagonisti. Per certi versi credo che le vere tematiche centrali dell’intero libro siano la riflessione su quanto siamo forti come esseri umani e la consapevolezza di quanto poco sappiamo di ciò che ci circonda. In questo romanzo adrenalinico, che scorre via veloce pagina dopo pagina, c’è la riflessione, l’azione, il mistero, l’amore, ma soprattutto lo spirito di resistenza innato, umano, così tipico delle persone che si trovano in situazioni stressanti.
Nonostante la storia presenti quel tocco alla “Hunger Games”, non ho potuto non associare “Cavie” a “Shatter Me” per via dell’introspezione dei personaggi e anche di quella associazione Kurtis-Adam che ho fatto sin dalla sua prima apparizione. E, devo ammetterlo, ero certa di trovare nel libro di Liliana un ‘gioco’ di omaggi letterari al genere della distopia.

In un romanzo scritto in prima persona con doppio punto di vista (sia quello di Cora che quello di Kurtis) credo sia normale affezionarsi molto ai protagonisti. In fondo è proprio come essere dentro la loro testa. Sappiamo ciò che pensano e provano, ma anche i loro dubbi e dilemmi. E così, durante il romanzo, riviviamo insieme a loro anche i ricordi più dolorosi, che raccontano del loro passato ma anche del presente difficile che si trovano ad affrontare.
Entrambi faticano sulle prime a fidarsi dell’altro, ma poi, una volta scacciata via la paura, si avvicinano cercando conforto e aiuto. In una situazione di vita o di morte è normale trovare l’amore? Forse sì, perché spinti al limite facciamo affidamento sulle persone che ci circondano e creiamo legami più forti. E credo che sia proprio quello che è successo tra Cora e Kurtis.
Mi sarebbe piaciuto approfondire un po’ di più certi personaggi secondari e magari vedere più flashback della vita di Kurtis, perché credo ci sarebbe davvero tanto da dire, oltre a quello che racconta lui in prima persona. Ecco, forse uno dei difetti è non aver equilibrato di più i capitoli di Kurtis e Cora, ma credo di aver capito anche il motivo per cui non è stato fatto. E sì, dirvelo è decisamente spoiler e quindi non lo farò.

Parlando della trama mi sento solo di dirvi di godervi ogni singolo colpo di scena e ogni scena d’azione. Il ritmo incalzante è la parte che più ho amato del libro. Letteralmente non c’è un attimo per prendere respiro, neanche per i poveri protagonisti. E forse, proprio perché c’è un ritmo super concitato e il libro scorre via così piacevolmente, ho quasi avuto la sensazione che il romanzo di per sé fosse troppo breve. Insomma più di trecento pagine, avrebbero saziato ancor di più la mia sete di distopia e sci-fi.

WORLD BUILDING

Temo di rivelare troppi dettagli sulla trama parlando dell’ambientazione, quindi sarò molto breve su questo punto.
Gli spazi in cui si muovono Cora e Kurtis sono decisamente claustrofobici. Il bunker dove si risvegliano, ad esempio, è solo l’estensione della bara che li aveva ospitati durante il sonno. C’è il necessario per sopravvivere giusto per un breve periodo, ma quella non è la loro casa e i bunker non sono fatti per essere confortevoli. Ed è per questo che entrambi realizzano presto che c’è qualcosa di più grande, un complotto più complesso in cui sono purtroppo coinvolti.
Perché sono in un bunker? Che c’è fuori dalle porte a tenuta stagna che si aprono con i loro tatuaggi? Le porte servono per non farli uscire o per impedire a qualcosa di entrare? Perché sono loro le cavie? In generale credo che dal punto di vista del world building se tante domande hanno trovato una risposta, molte sono rimaste in sospeso, forse in attesa di un nuovo libro.

IL FINALE

Tante sorprese e adrenalina costellano gli ultimi frenetici capitoli in un crescendo che porta di certo ad una chiusura. Come ho scritto sopra, ho, tuttavia, avuto più la sensazione che questo fosse il primo capitolo di una storia. Una finestra su un mondo che ha tanto da dare e che dobbiamo ancora conoscere bene. Durante la nostra chiacchierata a Torino, che potete leggere più sotto, Liliana ha definito questo libro un “antipasto” al mondo che ha immaginato. Direi che non vedo l’ora di proseguire con questo menù!

RIEPILOGANDO…
PRO
CONTRO
  • Adrenalinico
  • Trama interessante e tante sorprese
  • Bei personaggi
  • Stile molto scorrevole
  • Forse troppo breve
  • Tante domande rimaste aperte  
Rating:
INTERVISTA A LILIANA MARCHESI
Io e Liliana Marchesi

La prima domanda è d’obbligo. Come è nato “Cavie”?

È nato dall’idea che io ho di base che la conoscenza che abbiamo a disposizione tutti è solo la punta dell’iceberg di quello che in realtà c’è. Parlo di conoscenza di qualsiasi tipo a livello tecnologico, cultura, di tutto, credo che ciò che abbiamo a disposizione sia in realtà davvero la punta dell’iceberg e al di là, sotto la superficie, ci sono persone o associazioni che hanno in mano il vero potere. “Cavie” cavalca un po’ l’onda di questa idea che io ho cercato di inserire. Non è certo il messaggio trainante della storia, però questa idea si sente tanto perché è una convinzione che ho io e non posso fare a meno di riversarla nelle pagine delle mie storie. E poi “Cavie” è anche una storia adrenalinica con un po’ di romanticismo, ma di fatto la storia d’amore non è decisamente convenzionale: l’amore fa uno slalom tra proiettili e situazioni al limite.
Spingere i personaggi al limite è una cosa che mi piace tantissimo perché quando veniamo messi con le spalle al muro tiriamo fuori davvero ciò che abbiamo dentro. I miei personaggi hanno una marcia in più e una forza che non credo di possedere. Non so se riuscirei a sopravvivere al loro posto. 
So che non sei solo una scrittrice ma anche una blogger di tutto rispetto (uno dei blog di Liliana è Leggere Distopico). Quali sono i tuoi distopici di riferimento? Così diamo anche un consiglio ai lettori…
Sicuramente io prediligo i distopici dove c’è anche un po’ di romance. Anche se magari le persone pensano che io sia una distopica pura ho un cuore romantico. L’amore è davvero alla base di tutto. Quando trovo una storia dove l’amore è presente, anche senza che sia davvero il protagonista della trama, mi piace molto.
La serie che, non dico sia il mio riferimento, ma la porto davvero nel cuore è la serie Divergent di Veronica Roth, perché c’è un equilibrio tra la parte romance e la parte di azione che mi piace da impazzire. 
Non aprirò la parentesi Allegiant, perché so di scatenare una guerra, ma che ne hai pensato del finale?
Mi è piacciono molto il finale atipico, lo ammetto. Il finale di Cavie, infatti, non è atipico, di più! Sono anche una grande appassionata di cinema e se in un film riesco a prevedere la fine, per me è un grande no. Quei rari film che vedo che alla fine mi lasciano con la mascella sul pavimento, quelli resteranno per sempre nel mio cuore. Ad esempio nel Sesto Senso, per tutto il film vieni portato a credere una determinata cosa e alla fine c’è questa rivelazione e tu dici “Mi hanno fregato, mi hanno messo nel sacco”. E puoi solo fare un applauso al regista e allo sceneggiatore. 
Le storie non devono essere scontate. Uno spettatore o un lettore sta cercando emozioni. E per ricevere queste emozioni loro hanno comunque bisogno di essere stimolati da qualcosa che non conoscono, entrando allo stesso tempo in sintonia col personaggio. Ovvio, mi auguro che nessuno domani si svegli all’interno di una capsula. Però mi auguro veramente che arrivi un po’ il mio punto di vista ai lettori, ma soprattutto spero veramente che questa storia emozioni, perché vivere emozionandosi è bello. Un libro non deve per forza mandare un messaggio da Nobel, deve saperti emozionare, deve toccare le corde un po’ nascoste del tuo cuore. 
“Cavie” non è il tuo esordio letterario. Hai già scritto per altre case editrici e soprattutto hai scelto anche l’autopubblicazione. Come è stato questo tuo percorso? 
Il mio è stato un percorso lunghissimo. Ho iniziato ad autopubblicarmi nel 2012, quando arrivavano i primi ebook ed erano visti un po’ come un abominio. Erano, però, uno strumento utile a disposizione degli autori self. Ho fatto molta fatica a cercare di farmi conoscere da blogger e lettori. Negli anni ho portato avanti le mie storie pubblicando quasi una decina di romanzi, impegnandomi sempre molto. Oltre a curare bene i testi, ho sempre cercato di offrire, passami il termine, un “prodotto” che potesse soddisfare: creavo book trailer e organizzavo blog tour. Anche per “Cavie” ho creato un book trailer divertente, prendendomi molto in giro.
L’anno scorso sono stata pubblicata per la prima volta dalla Dark Zone con “Lacrime di cera”, che è stato il mio primo distopico. Quindi diciamo che il passaggio da self ad editoria l’ho fatto già un anno fa, ma ogni casa editrice è una realtà diversa. A differenza di “Cavie”, “Lacrime di cera” era un romanzo che avevo già pubblicato da sola, quindi avevo meno timori, avevo già avuto un riscontro con i lettori. Con “Cavie”, invece, è no, è un inedito, sono come la protagonista, nel buio più totale.
Deve essere gratificante comunque aver finito un romanzo e poter sentire cosa ne pensano gli altri.
Sì, alla fine sono già dieci anni che scrivo e ho iniziato a credere in questa cosa. Dopo aver avuto il mio primo figlio ho detto “mi è sempre piaciuto scrivere”. Il mio professore a scuola mi diceva sempre che da grande sarei diventata una scrittrice, ma io non ci pensavo proprio, avevo diciotto anni. Prendevo sempre sei nei temi. E io gli chiedevo “ma perché sei?!” e lui rispondeva “eh sì, era bellissimo, ma sei andata fuori traccia”. E da lì dovevo capirlo. Quando poi nel 2009 ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, l’idea era di partecipare ad un concorso online di racconti. Poi il racconto, andando fuori traccia, è diventato il mio primo romanzo. 
Allora, ora me lo puoi dire, “Cavie” sarà una serie o uno standalone?
Era proprio l’unica cosa che non volevo dire subito!
Vedi. Te l’ho fatta dire per ultima!
Hai preparato il terreno! Non posso dare molte informazioni perché l’uscita è ancora recente, ma è una storia che vorrei portare avanti. La vorrei portare avanti perché c’è molto da dire e veramente “Cavie” è un po’ un antipasto. Per come la sento io questa storia è davvero un antipasto. La voglia c’è e le idee non mancano mai. Vedremo come andrà. 
Dato che ne abbiamo parlato a microfoni spenti, finiamo con la playlist.
Se volete sentire la playlist, cercate su Spotify la playlist E17. Se, invece, volete scoprire perché l’ho chiamata così, dovete per forza leggere il libro!
La musica, quindi, è importante nel tuo processo creativo?
Devo dire che ci sono dei momenti in cui scrivo e non deve volare una mosca, ma ci sono anche delle scene in cui devo mettere a palla una canzone perché di fatto rappresenta un determinato momento. 
Ho notato che hai un tatuaggio molto speciale, c’è scritto “E17”.
L’ho fatto quando ho iniziato a scrivere il romanzo. Mi sono fatta un tatuaggio per ogni mio romanzo. Di fatto ogni romanzo ne ha uno dedicato, quello di Cavie è E17. Ovviamente non dirò il motivo, ma lo scoprirete da soli!
Io ti ringrazio moltissimo per questa chiacchierata. 
Grazie a te!

Comments

comments

Leave a reply